Self Portraits
"L’autoritratto artistico segue sempre una drammaturgia. È una messa in scena, ma non un monologo. Si tratta di un’azione che risponde alle aspettative - sociali, esistenziali - di un pubblico. È un dialogo.
L’artista è (anche) pubblico della propria immagine.
La pratica dell’autoritratto è un modo per uscire da Sé e guardarsi con gli occhi del desiderio.
Ciò che l’artista sperimenta è la duplicità del reale: quello vissuto, mancante dell’oggetto del desiderio; quello raffigurato, che contiene l’oggetto/corpo del desiderio.
Quando Miriam Colognesi lavora nella natura, allestisce rappresentazioni d’ispirazione romantica. Il confronto con gli elementi, con la loro forza primigenia, però, si risolve a favore del suo corpo-avventura.
L’ignoto e lo straordinario non sono nascosti tra anfratti boscosi o rocce calcaree, ma trasportati dal suo corpo. E la sua scultorea anatomia non esprime libido, ma potenzia biologica.
Autoritratti che rispecchiano la mutabilità (e caducità) del reale biografico sul desiderio di equivalenza - se non di prevalenza - verso la ciclicità dei processi di natura, la durezza geologica della crosta terrestre, la sua inarrivabile durata."
Maurizio Coccia
"L’artista raggiunge un luogo prescelto: una roccia, un prato, una cascata o altro, si posiziona e poi fa scattare la macchina fotografica, luoghi che solitamente sono impervi e isolati, molto distanti dagli spazi antropizzati.
Nel suo “mettersi a nudo” in modo certamente non appariscente, c’è un sentimento di pudore ma non di timidezza puritana, di raccoglimento ma non di nostalgia fetale. Colognesi infatti assume le sue posizioni in forma serena e compositivamente armoniche: in queste, le pulsioni problematiche e le sue tensioni – interne (inconsce e consapevoli) ed esterne (un animale che si avvicina, la percezione di un pericolo, un accidente atmosferico) – trovano un attimo di “sosta”, di “serenità” di “sospensione”, proprio, ed anche, nell’operazione estetica.
La (con)fusione con la natura – accanto o sulla quale si pone con severo, ma tranquillo, rispetto – è il messaggio più intenso che possiamo cogliere nelle sue fotografie: c’è una sorta di simbiosi tra il suo sé (il suo corpo) e la natura. Potremmo dire che sul piano del pensiero riflessivo abbiamo una rilettura della filosofia della “Natura naturans/Natura naturata” cioè della Natura che crea e che è creata, così il “corpo”, la “persona” è tanto natura creata quanto essere naturale che crea; mentre sul piano emozionale abbiamo una grande liricità che proviene dalle forme dell’artista immerse nello spazio della natura. E qui è da dire che l’osservatore delle opere di Colognesi resta nel dubbio se sia la sua figura a dare senso alla natura o se sia questa a dare significato al corpo nella sua nudità naturale, con tutte le sue caratteristiche plastiche e luminose. Anche noi lasciamo sospesa la questione, se non altro per rispetto dell’arte che non dà mai soluzioni bensì pone – o dovrebbe porre, quando è arte vera – i problemi, i quali dall’aspetto formale poi slittano su quelli contenutistici, cioè intellettuali ed emotivi. Certamente le immagini della Nostra possono collocarsi in quei territori artistici che definiamo “lirici”, dato l’alto tasso di poeticità e di sensibilità che riscontriamo nei suoi lavori.
Ed ancora: come la Natura è imprevedibile nel suo essere e nelle sue manifestazioni, così l’opera che risulta dall’autoscatto ha anch’essa dell’imprevedibile e della casualità. Infatti quando si fotografa una realtà altra che sta davanti a colui che fotografa, costui, se la camera è analogica, vede nel mirino, mentre, se è digitale, guarda nel display l’immagine che poi risulterà nella stampa; invece con l’autoscatto l’artista può solo “immaginare” ma non “vedere” cosa risulterà dopo lo scatto, poiché c’è un lasso di tempo e /o dei movimenti tra la preparazione e la realizzazione, ed è proprio questo che provoca quel senso di indeterminatezza che ci pare accresca il fascino dell’autoscatto."
GIORGIO BONOMI, MILANO 1 DICEMBRE 2013